1,4 miliardi di cinesi non sono un problema. I 100 miliardi che l’UE sta buttando via sì. Mentre Bruxelles predica sui diritti umani, le nostre aziende bussano a porte chiuse. Smettiamola di fingere.

Negli ultimi anni, l’approccio dell’Unione Europea nei confronti della Cina si è progressivamente irrigidito in una retorica moralistica, ripetitiva e spesso scollegata dalla realtà. Ogni dialogo, ogni vertice, ogni comunicato ufficiale sembra dover iniziare con un richiamo ai diritti umani, alla democrazia, al Tibet o a Hong Kong. Ma chi, in Europa, si chiede se questa strategia stia davvero funzionando?
Vivendo in Cina, assisto quotidianamente a un fenomeno che sfugge ai report di Bruxelles: la vita reale della popolazione non è quella dipinta dai media occidentali. Non vedo repressioni di massa, non assisto a manifestazioni soffocate, non incontro cittadini che sognano un sistema politico diverso. Al contrario, vedo una società concentrata sullo sviluppo, sulla stabilità e sul benessere economico, con una stragrande maggioranza che accetta – e in molti casi sostiene – il modello esistente.
Questo non significa chiudere gli occhi di fronte a criticità. Ogni sistema ha le sue zone d’ombra. Ma pretendere di giudicare la Cina con gli stessi parametri della democrazia liberale occidentale è un errore concettuale. La tradizione politica cinese si fonda su armonia, ordine collettivo e responsabilità dello Stato, non sull’individualismo. Pretendere di imporre un modello estraneo a questa matrice culturale non è difendere i diritti: è imperialismo ideologico.
Eppure, l’UE insiste. Ogni volta che si apre un tavolo negoziale – su investimenti, commercio, tecnologia – ecco emergere all’inizio dell’ordine del giorno questioni politiche e ideologiche. Ma se lo fai in modo sistematico e fuori contesto, non ottieni aperture: ottieni chiusura. E la Cina, in questo, è coerente: rispetta chi negozia con concretezza, disprezza chi arriva con la predica.
L’approccio attuale dell’UE è, in fondo, un eco di una dipendenza strategica dall’egemonia americana. Washington parla di “nuova guerra fredda”, ma intanto continua a importare miliardi di dollari di prodotti cinesi, a dipendere dalla sua catena del valore. È una contraddizione evidente: la Cina è il nemico a parole, ma il partner indispensabile nei fatti. E l’Europa, troppo spesso, segue questo copione senza riflettere sulle proprie priorità.
Noi europei non siamo gli Stati Uniti. Abbiamo un’opportunità unica: agire come potenza civile, pragmatica, autonoma. Ma per farlo, dobbiamo abbandonare la retorica e mettere sul tavolo proposte concrete, misurabili, vantaggiose.
Perché l’UE-Cina non è più una relazione “mutuamente conveniente”
Come evidenziato nel documento di analisi, la distanza crescente tra UE e Cina non dipende solo dai temi politici, ma da squilibri strutturali profondi:
- Accesso asimmetrico ai mercati
Mentre l’UE ha aperto ampiamente i suoi mercati ai prodotti e agli investimenti cinesi, le imprese europee incontrano barriere sistematiche in Cina, soprattutto in settori strategici come finanza, telecomunicazioni e servizi digitali. - Concorrenza distorta
Il modello economico cinese, basato su sussidi statali massicci, sovvenzioni agli enterprise statali e politiche industriali aggressive, crea un campo di gioco profondamente squilibrato, soprattutto in settori chiave come veicoli elettrici, pannelli solari e batterie. - Eccesso di capacità e dumping
La sovracapacità produttiva cinese, in particolare nell’industria verde, rischia di inondare i mercati europei, minacciando industrie locali e posti di lavoro. - Tensioni geopolitiche
L’allineamento strategico con la Russia e la promozione di un modello di governance non liberale allontanano la Cina dai valori dell’UE, ma non giustificano un disimpegno totale. - De-risking e resilienza
L’UE sta riducendo la dipendenza da catene del valore cinesi, soprattutto per materie critiche (terre rare, litio, farmaci), ma questo non significa decoupling, bensì riposizionamento strategico.
Le barriere concrete che frenano le imprese europee in Cina
Il documento evidenzia con precisione le restrizioni reali che impediscono un accesso equo al mercato cinese:
Servizi finanziari
Sebbene dal 2020 siano stati aboliti i limiti di proprietà, l’approvazione dei permessi è lenta e opaca.
Le banche straniere hanno accesso limitato al credito al consumo e ai prodotti in renminbi.
Il controllo dei flussi di capitale (tramite SAFE) limita le operazioni transfrontaliere.
Le imprese europee sono escluse da progetti finanziari pubblici a favore di quelle statali.
Telecomunicazioni
Le aziende straniere non possono possedere reti di telecomunicazione.
I fornitori europei (come Nokia ed Ericsson) sono marginalizzati nei rollout 5G a favore di Huawei e ZTE.
Le leggi sulla cybersicurezza e la localizzazione dei dati ostacolano l’operatività.
Servizi digitali
Piattaforme europee come Google, Facebook, YouTube sono bloccate dal Great Firewall.
I fornitori cloud (AWS, Azure) devono operare tramite joint venture locali, con perdita di controllo sui dati.
Le licenze per servizi digitali (streaming, gaming, news) sono raramente concesse e soggette a censura.
Barriere trasversali
Standard tecnici nazionali diversi da quelli internazionali.
Appalti pubblici inaccessibili.
Debole tutela della proprietà intellettuale.
Sussidi statali alle imprese cinesi.
Cosa mettere sul tavolo al posto della retorica: 8 proposte concrete
Se vogliamo superare la sterile contrapposizione ideologica, dobbiamo negoziare sulla base di interessi concreti. Ecco cosa l’UE può offrire in cambio di un accesso equo ai mercati cinesi — senza cedere su valori fondamentali, ma senza bloccare il dialogo per motivi politici.
Obiettivo: “Parità di opportunità, non simmetria ideologica.”
1. Accesso accelerato per le imprese cinesi in settori non sensibili
- Cosa offrire: Approvazione rapida per prodotti cinesi in:
- Elettronica di consumo
- Pannelli solari e turbine eoliche
- Veicoli elettrici (se conformi alle regole anti-sussidio)
- Tecnologie verdi (batterie, pompe di calore)
- Contropartita: Parità di accesso per banche, assicurazioni e asset manager europei in Cina.
- Valore per la Cina: Miliardi di euro di esportazioni in UE.
2. Progetti congiunti per la transizione verde in Paesi terzi
- Cosa offrire: Co-sviluppare progetti in Africa, America Latina, Sud-Est asiatico:
- Hub per l’idrogeno verde
- Impianti solari
- Modernizzazione delle reti elettriche
- Contributo UE: Finanziamenti (Global Gateway), standard tecnici, certificazione ambientale.
- Contropartita: Apertura del mercato cinese a tecnologie europee (riciclo batterie, smart grid, software di carbon accounting).
3. Co-leadership su standard internazionali
- Cosa offrire: Includere la Cina nella definizione di standard UE su:
- Sicurezza e riciclo delle batterie
- Etichettatura dell’impronta di carbonio (per auto e acciaio)
- Etica dell’IA (applicazioni civili)
- Contropartita: Accesso equo per i fornitori cloud europei (es. OVH, Deutsche Telekom) in Cina.
4. Visto rapido per gli investimenti cinesi “puliti”
- Cosa offrire: Procedura accelerata per gli investimenti cinesi che:
- Non riguardano infrastrutture critiche
- Hanno proprietà trasparente
- Rispettano diritti di proprietà e dati
- Meccanismo: Lista di “partner affidabili”.
- Incentivo: Incoraggia le imprese cinesi a operare in modo trasparente.
5. Hub congiunti di R&S in Paesi neutrali
- Cosa offrire: Centri di innovazione in Singapore, Svizzera o Emirati su:
- Idrogeno pulito
- Economia circolare
- Agricoltura sostenibile
- Ruolo UE: Finanziamento, protezione della proprietà intellettuale, reti accademiche.
- Contropartita: Accesso paritario alle zone di innovazione cinesi per le imprese europee.
6. Fast-track doganali e riconoscimento reciproco
- Cosa offrire: Riconoscimento reciproco delle certificazioni in:
- Dispositivi medici
- Macchinari industriali
- Materiali da costruzione a basso impatto
- Beneficio: Riduzione dei costi e dei tempi di immissione sul mercato.
- Contropartita: Semplificazione delle valutazioni di conformità per i prodotti europei in Cina.
7. Cooperazione su governance dei dati (ambito economico)
- Cosa offrire: Regole interoperabili per:
- Logistica transfrontaliera
- Tracciabilità delle catene del valore (es. batterie)
- Reporting climatico
- Non riguarda privacy o sorveglianza, solo dati economici.
- Contropartita: Rimozione delle barriere di localizzazione dati per i fornitori SaaS europei.
8. Integrazione dei green bond cinesi nei mercati UE
- Cosa offrire: Facilitare l’investimento di fondi pensione e assicurazioni europee in obbligazioni verdi cinesi.
- Condizione: Verifica di terze parti sull’allineamento con la tassonomia UE.
- Contropartita: Apertura del mercato cinese dei bond e della gestione patrimoniale alle imprese europee.
Un esempio di tavolo negoziale pragmatico

Quali benefici concreti per l’Europa?
Secondo le stime del documento, un approccio pragmatico e coordinato potrebbe generare da 50 a oltre 100 miliardi di euro di nuovo fatturato annuo per le imprese europee entro il 2030.
Ecco una sintesi:

Totale potenziale: oltre 100 miliardi di euro/anno.
Creare le condizioni per negoziare dalla forza, non dalla debolezza
L’Europa deve smettere di negoziare dalla posizione del moralista e iniziare a farlo dal punto di vista del negoziatore forte. Perché la verità è questa: la Cina ha bisogno dell’Europa tanto quanto l’Europa ha bisogno della Cina. (Ancor piu ora che chiaramente l’alleato storico o meglio il pappone storico dichiaratamente ci vede come oppositore economico da contenere.)
Ha bisogno dei nostri mercati, dei nostri capitali, dei nostri standard, della nostra tecnologia. E questo è un punto di forza, non di debolezza.
Invece di ripetere slogan vuoti, dobbiamo mettere sul tavolo pacchetti concreti: “Tu fai questo, noi facciamo quello”. Niente più prediche, niente più condizionamenti ideologici fuori luogo. Solo scambi misurabili, reciproci, vantaggiosi.
La parità non viene concessa: viene negoziata. E per negoziare bene, bisogna arrivare al tavolo con qualcosa da offrire — e con la volontà di non alzarsi finché non si ottiene qualcosa in cambio.
L’era della retorica è finita. È tempo di pragmatismo. Sono 40 anni che l’Europa si pone come detentore e impositore di democrazia, liberta e diritti civili, risultati? Se qualcuno ne ha visti evidentemente ero distratto, ancor di piu oggi perché il mondo non ha bisogno di più divisioni.
Ha bisogno di soluzioni.
E quelle si costruiscono con il dialogo, non con le condizioni.
Qui una tabella sintetica che mostra una stima dei possibili valori economici in gioco per l’Europa, qualora riuscisse a negoziare con la Cina condizioni più favorevoli, lasciando fuori dai tavoli le questioni politiche come democrazia, diritti civili e repressioni.
I dati sono stime indicative basate su trend di mercato e potenziale di crescita:

Totale stimato: oltre €70–100 miliardi/anno di valore aggiunto per l’economia europea entro il 2030, se si negozia con pragmatismo e si abbandona la retorica ideologica

Daniele Prandelli, Ningbo China, Aug. 2025